Dal 2015 l’associazione I’m Human Organization (iHo) si trova a Dimitrovgrad (Serbia), cittadina situata nei pressi del confine con la Bulgaria. iHo dà assistenza ai migranti che arrivano alla caserma della polizia di frontiera consegnando loro cibo, acqua e vestiti. Le persone arrivano in condizioni pessime, dopo aver camminato sulle montagne per 13-15 ore. Fino alla settimana scorsa, chi arrivava a Dimitrovgrad aveva la possibilità di essere registrato e di viaggiare in Serbia legalmente per tre giorni e raggiungere la Croazia.
Dal 20 febbraio 2016 è cambiato il sistema, le frontiere sono chiuse e le deportazioni irregolari sono aumentate.
Dal 20 febbraio 2016 è cambiato il sistema di registrazione in Serbia. A Dimitrovgrad, la caserma della polizia di frontiera serba non ha più il compito di conferire la registrazione che permette per 72 ore alle persone che attraversano il confine dalla Bulgaria di viaggiare legalmente con i mezzi pubblici.
Inizialmente le persone che arrivavano a Dimitrovgrad sarebbero dovute essere trasferite a Presevo (città al confine con la Macedonia), unico posto in Serbia deputato alla registrazione. Il 20 febbraio sono partite da qui verso Presevo 37 persone (afgani e iracheni), ma le autorità di Presevo non hanno permesso all’autobus di entrare in città. L’autista, per non riportarli a Dimitrovgrad e restituire i soldi ai passeggeri, li ha lasciati in un’altra città dove, fortunatamente, sono stati in grado di prendere un treno per Belgrado. A nessuna di queste persone è stato consegnato un documento.
 Il 21 gennaio, a Dimitrovgrad, le autorità hanno iniziato a consegnare un documento che dà diritto a donne e bambini, ma non agli uomini, di chiedere asilo in Serbia. I documenti consegnati alle donne e ai bambini sono scritti solo in serbo e quindi con l’alfabeto cirillico, pertanto risultano incomprensibili per le persone a cui vengono consegnati, che rimangono ignare del fatto che con quel documento non possono entrare nell’Unione Europea, ma sono obbligate a chiedere asilo in Serbia. Agli uomini invece è stato detto di lasciare la Serbia entro 7 giorni e che se volevano entrare in Serbia con una registrazione valida sarebbero dovuti ritornare in Bulgaria, passare dalla Macedonia farsi registrare a Gevgelia e da lì seguire la rotta per Presevo.
Inoltre dal 22 febbraio sono iniziate le deportazioni degli afgani in Bulgaria, in quanto l’Unione Europea ha deciso che non sono più nella lista delle nazionalità che hanno diritto alla protezione internazionale. Nella suddetta lista rimangono solo siriani e iracheni.
Nella giornata del 22 febbraio sappiamo per certo, poiché i nostri volontari li hanno intercettati per le vie della città, che sono stati deportati 19 afgani. Non sappiamo se la polizia (che ha iniziato a fare dei pattugliamenti massicci in città) ha fermato, arrestato e deportato altri afgani.
Sempre il 22 febbraio, 38 iracheni tra cui 26 bambini sono stati autorizzati dalla polizia a prendere il treno per Belgrado. Tuttavia Solo le donne e i bambini hanno ricevuto il documento che dà loro diritto alla richiesta di asilo in Serbia mentre gli uomini sono stati schedati, ma non hanno ricevuto nessun documento. Di conseguenza dopo 7 giorni la loro permanenza in Serbia ritornerà ad essere illegale. I 38 iracheni sono riusciti a raggiungere Sid (ultima tappa in Serbia prima di entrare in Croazia), ma nessuno di loro può passare la frontiera poiché, nel frattempo, la Croazia ha chiuso il confine e ha iniziato a deportare siriani e iracheni nel campo di Sid. Agli iracheni è stato detto di riattraversare la Serbia, andare in Macedonia e farsi registrare lì, per poi rientrare nel paese con un documento che gli potrà permettere di passare il confine con la Croazia quando verrà riaperto il passaggio.
Nella giornata del 23 febbraio sono stati deportati in Bulgaria una trentina di afgani. Tra questi, 14 sono rimasti “nascosti” dietro il nostro container per tutta la giornata. La polizia era a conoscenza della loro presenza, ma le celle della caserma erano già piene di altri afgani e non essendoci posto per loro, hanno dapprima organizzato la deportazione degli altri afgani e poi sono venuti a prendere quelli che stavano accanto al nostro container.
Nella notte dello stesso giorno, un nostro volontario ha incontrato un gruppo di 20 iracheni con bambini al seguito. Li stava accompagnando al campo, quando la polizia lo ha fermato e gli ha detto di tornare a casa perché “Adesso è un problema accompagnarli alla caserma della polizia di frontiera”. Abbiamo contattato i nostri volontari sul campo, avvisandoli che una ventina di persone stavano per arrivare scortate dalla polizia. Purtroppo, i 20 iracheni non sono mai arrivati al campo e non sappiamo che fine abbiano fatto. Possono essere stati deportati in Bulgaria o al confine con la Macedonia, nessuno ha informazioni in merito. Le altre associazioni non sapevano nemmeno che questo gruppo fosse arrivato in città, noi abbiamo solo avuto la fortuna di averli incontrati per caso e grazie a questo sappiamo che non solo gli afgani vengono deportati, ma anche gli iracheni non vengono più accolti al campo.
Non abbiamo idea di quante persone la polizia abbia arrestato nei giorni successivi, noi siamo riusciti ad intercettare solo un afgano che è stato deportato in Bulgaria.
Tutti gli afgani che sono passati da Dimitrovgrad hanno provato a chiamare i taxi per farsi portare a Belgrado, ma dato che qui la polizia effettua controlli a tappeto, nessuno è stato disposto a portarli in quanto privi di documenti.
Queste nuove regole comportano una serie di conseguenze pesanti sulle persone che prima avevano la possibilità di viaggiare legalmente e che adesso sono costrette a nascondersi per non farsi arrestare:

Noi che lavoriamo sul posto, ormai, non riusciamo più a dare assistenza a nessuno. Il confine è chiuso e l’unica cosa che possiamo fare è monitorare se in città avvengono degli arresti, ma anche questo tipo di attività è molto difficile perché non c’è un unico passaggio per arrivare qui dalla foresta.
Le politiche europee e dei paesi di transito continuano ad essere miopi e a voler agire sulla conseguenza (il flusso migratorio) di cause (guerre, sfruttamento economico dei paesi di provenienza dei migranti) che necessitano di soluzioni diplomatiche e di mediazione politica.
Non è accettabile che un’Europa che si fa baluardo della tutela e garanzia dei Diritti Umani scelga chi ha diritto di essere tutelato e protetto in base al criterio della nazionalità. La proibizione di pratiche discriminatorie sulla base dell’origine nazionale è sancita dall’art.14 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU), ma in queste circostanze non trova la sua applicazione.
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