Raccogliamo qui alcune “recensioni” al viaggio dei partecipanti delle edizioni passate

“Sono stato in Palestina con il viaggio di Casa per la pace nell’estate del 2017 grazie al consiglio di un amico che aveva fatto lo stesso viaggio qualche anno prima. Pur avendo studiato Scienze Politiche all’università non avevo che una vaga idea delle condizioni reali del popolo palestinese, della colonizzazione, della loro terra e delle limitazioni di movimento che sono costretti a subire. Il percorso di Casa per la Pace cerca di toccare nella sua complessità le tante sfaccettature che l’occupazione prende: dal muro di separazione alle associazioni che nei campi profughi cercano di arginare la frustrazione dei giovani; dalle problematiche legate all’acqua nella valle del Giordano alla particolare situazione di Gerusalemme Est. La grande capacità delle guide locali nel dare al viaggiatore delle chiavi di lettura storiche, legali e politiche sulla situazione ha reso per me questo viaggio un’importante tappa di consapevolezza sull’occupazione.” (Paolo, 28 anni, viaggio 2016)
 
“Questo viaggio è occasione per vivere dall’interno una realtà umanamente difficile e che ci permette di coglierne l’intreccio tra gioia e dolore,inserendoci dentro un contesto di privazione e colonialismo”
(Stefania, viaggio 2018)
 
“La volontà di vedere e capire davvero la storia che sentiamo e che apprendiamo dai libri: questo mi ha portato ad intraprendere il viaggio. Catapultato nella società palestinese, ascoltando le storie della gente mi sono reso conto di come, al di là del conflitto, dei muri, dei checkpoint e dell’occupazione, c’è una vita quotidiana che scorre, insicura e precaria: quella di Nablus, che cerca di rinascere con i suoi laboratori di sapone, della Valle del Giordano, dove la guerra per l’acqua non scoraggia la resistenza dei contadini, del campo profughi di Deheishe, in cui ci si aggrappa alle proprie tradizioni per affermare un’identità che rischia di essere cancellata; ed infine una Gerusalemme che è specchio di tutto, una posta in gioco, in cui la convivenza fra popoli diversi si intreccia a muri e divisioni” (Antonio, viaggio 2018)
 
“Il viaggiare in Palestina e Israele, e l’avere la possibilità di conoscere persone diverse, che vivono lì e lottano nella loro vita quotidiana, ha avuto un grande impatto su di me. Prima di partire per questo viaggio, ho letto e raccolto più informazioni possibili riguardante la complessa situazione del conflitto israelo-palestinese. Volevo capire razionalmente quali ragioni e quali necessità stanno dietro al conflitto. Ciò nonostante dopo questo viaggio ho capito che le emozioni, in particolare la paura, sono i motori più potenti delle azioni umane, molto più potenti delle spiegazioni razionali. Durante il mio viaggio ero costantemente messa di fronte a de posizioni, fortemente tenute. Entrambe le posizioni sono basate su una precisa e particolare definizione dell´altro: negandogli ogni forma di connotazione personale ed umana, si trasforma l´altro in nulla di più che un nemico, e come tale un problema, un ostacolo che deve essere eliminato, sradicato. Parte della strategia dello stato israeliano è, per esempio, di riferirsi a tutto i palestinesi come arabi, in questo modo i soggetti sono completamente separati dal legame con la terra, con lo stato palestinese. Allo stesso tempo, molti palestinesi si riferiscono a tutti gli ebrei come israeliani o sionisti. Diventando consapevole di queste semplici denotazioni e di questo utilizzo improprio dei termini e delle definizioni, è possibile capire come il processo di generalizzazione portato agli estremi può dare adito a modalità di considerare l’altro molto ristrette. L’onestà, il calore e la forza delle persone che ho incontrato sono stati il dono più prezioso di questo viaggio. Dalle mie riflessioni è nato un libro fotografico che spero  contribuisca a sensibilizzare (accrescere la coscienza) riguardo al conflitto israelo-palestinese, senza rinforzare la narrativa del nemico, nella quale i ruoli di vittima e carnefice sono chiaramente stabiliti. Invece spero di mettere in luce la bellezza e la forza delle persone, in entrambi i lati del conflitto. Credo che la non violenza e il dialogo aperto siano le migliori forme per condurre la strada verso l’indomani” (Inanna, 31 anni, viaggio 2017)