Teatro dell'Oppresso

Il Teatro dell’Oppresso mette in scena le oppressioni quotidiane, per trovare strategie di trasformazione e liberazione. Casapace si avvale di questo metodo nel suo lavoro quotidiano: nelle scuole, nella formazione per adulti e nella gestione e mediazione di conflitti comunitari. 

Il Teatro dell’Oppresso nasce durante la dittatura brasiliana, in un momento in cui i teatri non erano più luoghi sicuri. Le strade e i piccoli circoli e comunità rurali sono gli unici posti liberi dalla censura. È stato ideato e strutturato dal regista, attivista e scrittore brasiliano Augusto Boal. Il teatro e la recitazione hanno qui il fine di rappresentare le oppressioni quotidiane, con l’intento di trovare strategie per la trasformazione dei conflitti e delle situazioni di discriminazione o violenza.

 

Crescita personale e trasformazione collettiva

«Teatro non è solo un evento- è la vita! Attori siamo tutti noi. E cittadini sono coloro che non si accontentano di vivere in società, ma la trasformano» ( Augusto Boal Discorso all’Unesco Marzo 2009).

Il Teatro dell’Oppresso (TdO) è un metodo nato dalla necessaria ricerca di nuovi processi di creazione e discussione collettiva, per analizzare e trasformare la realtà. Vuole sviluppare la teatralità umana, la capacità di ogni persona di usare il linguaggio teatrale e l’arte in genere, come mezzi per l’emancipazione e la risignificazione culturale e comunitaria. 

«…l’analisi e la trasformazione non vengono intese solo come un processo logico-razionale, ma anche intuitivo, emotivo, sensoriale ed energetico, che si traduce poi in azione teatrale in senso lato. Per rendere possibile l’analisi e la trasformazione della realtà, secondo Boal, l’esperienza di liberazione sperimentata nella finzione teatrale non deve essere fine a se stessa, una semplice catarsi, uno sfogo di tensioni con funzione consolatoria. 

Infatti il TdO porta lo spettatore ad essere protagonista dell’azione drammatica.[…]. Lo spettattore, entrando in scena e reagendo all’oppressione nella finzione teatrale, si arricchisce di idee ed energie, ha la possibilità di capire e trasformare l’oppressione, in una situazione protetta, per poi affrontare con un maggior bagaglio di strumenti ed esperienze l’oppressione reale». (Il Poliziotto e la maschera, Augusto Boal, Introduzione di Roberto Mazzini, Edizioni la Meridiana, 2009). 

Il Teatro Forum

Tecnica teatrale in cui la quarta parete (la barriera invisibile tra pubblico e attori) cade.  Gli attori mettono in scena un problema reale (qualcosa che li riguarda direttamente, situazione di cui hanno un’esperienza diretta).  La scena teatrale porta al pubblico una domanda aperta, alla quale gli attori e le attrici non sanno rispondere. Gli attori hanno bisogno del pubblico, della collettività per trovare risposte, alternative, cambiamenti possibili.

Dopo la prima rappresentazione il pubblico è invitato a vedere di nuovo la scena. Questa seconda volta avrà il potere di fermare l’azione teatrale in ogni momento in cui le cose potrebbero andare diversamente. Chi suggerisce un’alternativa o cambiamento è invitato a entrare in scena, a improvvisare la propria proposta sostituendo un attore o aggiungendo un nuovo personaggio. Non ci sono intermediari, chi propone lo fa in prima persona, mettendoci corpo, voce ed esperienza vitale. (Teatro dell’oppresso. Radici e ali, Barbara Santos, Clueb, 2018).

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